“Vox clamantis in deserto” (Voce di uno che grida nel deserto). Mt 3,1-12 – Commento di Marco Pasquali. IIa Domenica di Avvento

Se oggi suonasse alla nostra porta il Battista, o peggio ancora lo dovessimo incontrare in strada, come minimo andremo a chiamare la polizia. Anche ai giorni nostri tutti di lui apparirebbe estraneo – potremmo dire anche “alieno” – a quello che siamo abituati a considerare come “civilizzato”, ed in quanto tale minaccia visibile al nostro stile di vita. Il suo essere “voce nel deserto” viene infatti confermata dalla sua vita, a livello simbolico più profondo; infatti la sua non è una maschera, ma espressione del suo lasciarsi abitare dal deserto, al punto tale da esserne permeato e quindi renderlo presente nella sua figura. Egli evoca allora questo spazio non addomesticato e non addomesticabile, dove l’uomo da solo non potrebbe vivere, senza che ci fossero altri ad aiutarlo e strutture a supportarlo. Ma ancora di più, per la tradizione dell’AT è il luogo dell’innamoramento di Dio, quando si è chinato sul suo popolo e l’ha incontrato perché dividessero una intimità tutta loro, senza che le contorte elucubrazioni e possibilità umane facessero da interferenza. Il suo messaggio sembrerebbe duro, ma invece parla di un amore infinito e profondo! Immaginate cosa poteva significare per tutti coloro che vivevano esclusi dalla salvezza “ufficiale” del Tempio, perché poveri o malati da non poter nemmeno avvicinarsi ad esso, sentirsi dire “basta che tu fai spazio a Dio nel tuo cuore e lui verrà ad abitarlo”. Ad ognuno di loro veniva offerta la possibilità di essere più preziosi del gioiello più grande di Israele: il Tempio di Gerusalemme, sede di YHWH. Perché allora questo aspetto così “alieno” se la sua voce veicola l’amore? Per prima cosa vuole essere solo una voce; il rischio è fermarsi ad essa, invece che seguire ciò che essa indica. La sua voce non vuole fare ombra alla Parola che veicola. Ma al tempo stesso ciò che viene ad annunciare non deve perdere il suo mistero e l’impossibilità di essere collocato all’interno di schemi conosciuti. Ricordando l’inizio del celebre film di Stanley Kubrick, 2001 Odissea nello spazio, non si può restare indifferenti al mistero di Dio e della sua impenetrabilità, rappresentati da quel Monolite che improvvisamente si staglia sulla scena (ma forse stava da sempre lì). Alla reazione dei primati, che di fronte a lui si allontanano e finiscono così per scoprire la violenza, Giovanni ne è la risposta opposta, perché cerca di abitarlo senza che la sua lettura personale ne diminuisca l’alterità, anzi è lui a plasmarsi intorno ad essa, in una sintesi che sembrerebbe scomoda, ma che nell’economia della storia mondiale ha saputo realmente aprire la strada all’incontro verso la dolcezza e bellezza che è Gesù.