A chi appartieni?

XXIX domenica nell’Anno

Mt 22,15-21 (Is 45,1.4-6)


In quel tempo 15i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da Gesù i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio»

Anche in questo vangelo vediamo lo scontro tra Gesù e degli avversari, in questo caso farisei ed erodiani, che cercano di metterlo alla prova, o meglio di coglierlo in fallo, trovare qualcosa di cui accusarlo attraverso la risposta errata ad una domanda capziosa, sulla liceità o meno del pagamento del tributo a Cesare, introdotta anche da adulazioni e complementi, rispetto al fatto risaputo che Gesù insegnava senza badare a chi avesse davanti, ma soltanto alla verità.

Gesù non si lascia irretire nella trappola e rimprovera la malizia di quanti sono venuti a cercare i propri interessi piuttosto che la verità, il motivo per cui Gesù insegnava! La discussione sulla liceità o meno del pagamento del tributo viene dunque superata da Gesù con l’affermazione che non può che zittire i farisei circa il riconoscere, o meglio il restituire a Dio quello che è di Dio (e anche a Cesare il suo).

Gesù dunque sfrutta l’occasione di avere riuniti degli avversari per poterli correggere, e piuttosto che rimandarli semplicemente al loro mandante, Gesù insegna loro a leggere e guardare con attenzione quella moneta che era stata citata indirettamente nella questione del tributo! 

L’insegnamento di questo episodio si estende a noi che riflettiamo sulla parola viva del Vangelo! 

Di fronte alla “moneta del tributo” (Mt 22,19), Gesù chiede di chi sia l’immagine e l’iscrizione. La probabile moneta di quel tempo aveva su essa l’immagine di Cesare, e nell’iscrizione vi era riferimento a lui come essere divino.

Roma voleva che i popoli riconoscessero nell’imperatore il loro Dio, volevano aggiungersi se non sostituirsi al vero Dio di Israele. 

Non da meno però erano i farisei che sostituivano i precetti di Dio, con precetti di uomini, cioè secondo il loro vantaggio, con un’osservanza formale ed esterna della legge, che non implicava più la profondità del cuore. 

Ecco allora il vero problema denunciato! Non si tratta tanto di pagare o meno il denaro della tassa a Cesare. Gesù dicendo di restituirgli ciò che gli è proprio, mantiene l’insegnamento della Torah sul rispetto degli ordinamenti civili, e dunque anche la liceità della tassa. 

Ma dicendo di restituire a Dio ciò che gli è proprio, egli si riferisce in particolare all’uomo, che è fatto ad immagine e somiglianza di DIo, e per questo gli appartiene, perché da Lui è stato creato. 

Il problema generalizzato, che non è solo degli avversari di Gesù, ma dell’umanità intera, insito nella falsa dimensione religiosa di Israele e in quella vuota pagana dei romani è in questa domanda: perché l’uomo si lascia “corrompere” il cuore, e dona il suo culto ad altro che non è Dio?  

Quindi personalmente dobbiamo domandarci: A chi apparteniamo? Chi è il nostro signore? La parola di Gesù, più che regolare i rapporti tra le autorità statali e religiose, va colta nella sua primordiale signoria sulla nostra vita: stiamo facendo quello che Dio vuole? oppure siamo distolti in tanti ragionamenti per cui fuggiamo dal nostro essere immagine e somiglianza del nostro Creatore? Fuggiamo dalla nostra dignità di essere sale e luce del mondo, e che possiamo essere tali solo se ci manteniamo nel servizio a Dio nella figliolanza al Padre come Gesù?