Amore che non perde. XXIX domenica T.O., 17 Ottobre 2021 commento di Serenella Del Cinque

Mentre, con decisione, Gesù sale verso Gerusalemme annuncia per tre volte la sua
passione, come per scandire il ritmo del cammino. Gli apostoli, tutti, non capiscono
(Mc 8, 31-33; Mc 9, 30-37; Mc 10, 32-45). Marco nel suo Vangelo ogni volta registra
la loro incomprensione. Dopo il terzo annuncio della sua sofferenza e morte, sono
Giacomo e Giovanni a mostrare quanto il loro modo di pensare sia distante da
quello del Signore.
Giovanni e Giacomo che sono stati tra i primi a seguire Gesù (Mc 1,16- 20) si
avvicinano a lui e lo chiamano “Maestro”, come aveva fatto l’uomo ricco di cui ci ha
parlato il Vangelo di domenica scorsa (Mc 10, 17-22). Mentre il giovane è andato via
triste, i due fratelli lo seguono da tanto tempo, ma hanno la stessa mentalità.
Concepiscono il Regno come potere.
L’uomo ricco aveva almeno chiesto: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere
la vita eterna?» (Mc 10, 17).  Mentre i due discepoli gli dicono: «Maestro, noi
vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo» (Mc 10, 35). 
E Gesù gli risponde: «Cosa volete che io faccia per voi?» (Mc 10, 36). Ma loro non
sanno quello che chiedono.
Gesù sa che sulla croce – la sua vera gloria -, alla sua destra e alla sua sinistra ci
saranno due malfattori, crocifissi come lui. I due discepoli intendono la gloria come
successo, potere, splendore, mentre Gesù l’ha appena indicata nel servizio, nel dono
della vita, nell’essere rifiutato perché obbediente alla volontà del Padre.
Poco più avanti Gesù porrà la stessa domanda al cieco di Gerico, «Che vuoi che io ti
faccia?» (Mc 10, 51). Il cieco sa cosa chiedere.
Gesù con pazienza infinita, con amore infinito richiama ancora una volta Giacomo e
Giovanni e gli altri discepoli accanto a se, per chiamarli a conversione, per amarli,
per dargli la vita… per dirgli ancora una volta «adesso seguitemi e imparate la via
dell’amore “in perdita”, al premio ci penserà il Padre celeste. La via dell’amore è
sempre “in perdita”, perché amare significa lasciare da parte l’egoismo,
l’autoreferenzialità, per servire gli altri.
È la regola del cristiano – spiegava Papa Francesco all’Angelus -. Il messaggio del
Maestro è chiaro: mentre i grandi della Terra si costruiscono “troni” per il proprio
potere, Dio sceglie un trono scomodo, la croce, dal quale regnare dando la vita: “Il
Figlio dell’uomo – dice Gesù – non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la
propria vita in riscatto per molti” (v. 45)» (Francesco, Angelus, 21 ottobre 2018).