Può forse un cieco guidare un altro cieco? di Marco Pasquali, commento alla VIII domenica del T.O (anno C) -festa di San Gabriele dell’Addolorata

Quello che è un proverbio di carattere sapienziale diviene occasione per Gesù per un insegnamento profondo. Di per sé il significato sembrerebbe banale, ma se lo leggiamo come ci viene presentato – cioè una parabola di Gesù che quindi intende rivelare qualcosa di Dio attraverso fatti e cose di natura comune – ci rendiamo conto che ci viene detto che l’uomo tende ad avere dei maestri che condizionano la sua crescita e storia.

Se ci guadiamo un po’ intorno ci rendiamo conto che siamo un po’ tutti abituati a considerare la nostra coscienza – cioè quello che comunemente chiamiamo “io” – il criterio assoluto di quello che consideriamo come bene e come male, e quindi da questo dipendono le azioni che facciamo e i progetti che cerchiamo di realizzare. Ma nonostante i richiami della psicologia moderna, ci dimentichiamo che questo io è una sorta di spugna che tende ad impregnarsi degli stimoli che riceve da tanti fattori esterni: cultura, educazione, esperienze, ecc. e non tutte giocano un ruolo positivo sulla nostra crescita.

Questo finisce per determinare tutta una serie di “unicità” che però non sono assolute, ma frutto di un processo di cambiamento sempre in atto. La sfida che viviamo nel nostro tempo sembra essere quella di ricomporre queste unicità in un quadro unico – la società – che riesca ad accoglierle tutte. Ma può funzionare?

Quando noi guardiamo su youtube quei cagnolini che ci fanno tanta tenerezza, dall’altra parte del mondo qualcuno, quadrando lo steso video, vedrà dei succulenti bocconcini; se noi inorridiamo di fronte a coloro che vogliono mangiare queste tenere creature, gli altri restano perplessi del fatto che giochiamo con il nostro pranzo. Gesù, rivolgendo queste parole ai suoi discepoli, intende porsi come unico maestro, in quanto espressione visibile del Padre, il quale, a sua volta, è una persona a volontà non soggetta a questi fattori pur essendo la determinazione massima di quell’amore verso cui tendiamo.

Dovrebbe essere questo punto di riferimento a guidare il nostro processo di cambiamento, perché sicuramente orientato verso il bene. Ecco che l’esigenza e la consapevolezza interiore di un continuo miglioramento si sposa con l’esperienza di una chiama continua di Gesù a crescere in una pienezza. Lo abbiamo visto in grandi personalità come quella di S. Gabriele, la cui vita è sempre stata guidata da quel principio che rivelò al suo direttore quando gli disse “Padre, se c’è qualcosa nel mio cuore che offende Dio…Voglio strapparla via”. L’essere stato malleabile rispetto agli stimoli dello Spirito gli ha consentito di affrontare grandi prove come quella della malattia, senza venirne travolto, rimanendo sempre pieno di gioia e felicità, anzi diventando esempio e stimolo per migliaia di persone.