Il profeta inaspettato (XIV domenica del T.O, di P. Marco Staffolani)

Vangelo

Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.

Dal Vangelo secondo Marco Mc 6,1-6
 
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.

Parola del Signore.

Commento

Il vangelo di questa domenica ci interroga sul nostro atteggiamento abituale, quotidiano, che alle volte nella profondità non spera più nulla, non attende nessuno, si abbandona alla routine, al determinismo diventando preda dell’accidia. La sentinella interiore chiamata a vegliare, abbassa la guardia e sprofonda nel sonno sterile del nulla.

Non abbiamo nessuna aspettativa da ciò che ci circonda e con sufficienza pensiamo di aver già compreso tutto degli altri. Però poi magari ci ridestiamo di fronte a qualcuno che ci parla di uno “straordinario” effimero, coloro che vogliono impressionarci con altri vangeli, con nuove pratiche religiose oppure più “laicamente” con promesse di guadagni facili, ecc.

Questo è l’atteggiamento dei compatrioti di Gesù, che pur avendo sentito parlare dei miracoli e dei prodigi compiuti dal loro maestro in altre terre, ed essendo oramai diventato famoso, lo liquidano semplicemente ricordando a loro stessi la sua parentela terrena… che cosa mai di buono, o di straordinario può venire da Nazaret?

E’ questa la sfida a cui ci chiama il Figlio di Dio. Riporre fiducia nella sua parola divina, che ci spinge ad uscire da noi stessi, ad aprirci all’imprevedibile bontà e creatività celeste, che non è mai nella stasi, ma è sempre in movimento (dunamis!)

Accogliamo quella Parola, quel seme che Dio è venuto a porci con Gesù. Se la potenza di Dio fa crescere in noi la bontà con la sua grazia, prima è necessario il nostro sì, affinché il seme attecchisca e cresca.

E di fronte alle persone che conosciamo, quelle di cui potremmo dire di sapere tutto, lasciamoci sorprendere, lasciamo il cuore aperto e gli occhi pronti a vedere ciò che vede Dio. In fondo, il nostro mistero di essere a immagine e somiglianza del Creatore significa che ognuno di noi è portare di una scintilla del Fuoco eterno dell’amore dei Cieli. E dunque, chi scopre nell’altro tale scintilla trova nuovamente tutta la potenza del Fuoco dello Spirito Santo.