Il mio regno non è di questo mondo! commento di Marco Staffolani alla XXXIV domenica del T.O. solennità di nostro Signore Gesù Cristo re dell’Universo! Anno B

L’immagine del regno di Dio, l’idea di ascoltare la voce del Re e seguirla potrebbe non essere facilmente applicabile nel nostro tempo democratico e individualista. Siamo abituati a pensare che le giuste decisioni vengano dal confronto, politico quando questo funziona, frutto dell’interazione con gli altri, anche se in fin dei conti, riserviamo l’ultima decisione solo a noi stessi.

La nostra generazione sembra aver già fatto i conti con i nazionalismi e gli ultimi tiranni del secolo scorso, e se anche in giro per il mondo ci sono ancora popoli che vengono assoggettati in questa maniera, l’europa (non troppo) unita sembra aver superato il problema.

Ma nel nostro interiore possiamo veramente dire di poterci governare da soli? di essere autonomi nel senso che la nostra coscienza già ci certifica che tutto quello che facciamo è buono e giusto? che possiamo essere, come direbbero gli inglesi, stand alone, cioè siamo veramente capaci di stare in piedi da soli?

Quello che Gesù sta cercando di dire a Pilato in fondo è proprio questo: Pilato è preoccupato che vi sia un altro re, e quindi sta cercando di precisare i confini, eventualmente pensare a combattimenti futuri per mantenere i possessi terreni e giuridici già guadagnati e frutto visibile della sua forza.

Ma Gesù è un re diverso. Pilato percepisce semplicemente una conclusione: questo che mi sta davanti è il re di “lassù” visto che non è di quaggiù, ammesso e ovunque sia il paese di “lassù”. Noi aggiungiamo e interpretiamo secondo quanto la Scrittura ci insegna. Paolo ci invita a rivolgere la nostra attenzione alle cose di lassù. Perché quelle sono eterne mentre quelle del mondo sono passeggere. Non siamo incitati ad essere spiritualisti, a disprezzare il mondo in cui siamo, soltanto a dargli la giusta importanza. La nostra meditazione alta, il nostro pensiero più profondo, la nostra parte più intima non deve mai essere distolta dal fine a cui siamo chiamati: ascoltare il Signore per andare a goderlo in tale regno di lassù.

L’esercizio quotidiano di crescere nella virtù e nell’accoglienza della verità, che produce relazione, ci prepara proprio per questo approdo finale, tanto che il regno di Dio è già ora nella misura in cui Cristo lo ha inaugurato con la sua presenza umana e divina su questa terra, e nella misura in cui noi partecipiamo e mostriamo con la nostra vita che tale regno è vivo dentro di noi.

In definitiva ascoltare la voce del Signore significa farlo regnare in noi. Chi ascolta delle parole, ascolta veramente non solo porgendo l’orecchio al fenomeno acustico, ma ponendo se stesso a servizio del significato che tali parole hanno per la persona che le proferisce, perché tale persona è dalla verità, cioè viene dal Padre, e ha vissuto sulla sua pelle lo stesso che chiede a noi.