Riflessione digitale al tempo del corona virus. Una provocazione verso i giovani.

Con p. Giuseppe Adobati abbiamo cominciato a riflettere sul tema della nostra pastorale passionista durante questo tempo del coronavirus. E abbiamo constatato come vi è stata l’esigenza da parte di tanti confratelli e in tante comunità di continuare ad avere una comunicazione con il popolo di Dio, vista l’impossibilità di incontrarlo nella messa quotidiana.

Consapevoli che il mezzo virtuale (dirette Facebook, incontri di preghiera su Skype/Zoom, videoregistrazioni su Youtube ecc.) non ha la pienezza dell’incontro reale e personale (e sacramentale), è bene però ricordare che è sempre un’occasione, non oso dire di evangelizzazione, ma se non altro di condivisione, vicinanza, stimolo a confrontare la propria vita con la parola di Dio. E se anche le nostre capacità di oratori non fossero eccelse per dedicarci all’insegnamento attraverso il mezzo virtuale, la sfida di tenersi in contatto “digitale” permette di raggiungere tante persone semplici che possono godere della nostra compagnia mediatica. Oltretutto non possiamo nemmeno far finta che prima fosse meglio, visto che tutti viviamo la scarsa frequentazione che il popolo di Dio ha verso la messa. Ma questo forse è il tempo in cui siamo chiamati a ricordare che seppur «il cristiano non può fare la comunione non vuol dire che non può vivere l’eucaristia»

Come ogni cosa nuova che si mette nella nostra vita, e che cresce con l’esperienza, col tempo si producono delle consapevolezze che vorrei condividere con voi che leggete, che come me avete visto che non è semplice ed immediato trasporre la nostra predicazione/evangelizzazione avendo “in mezzo” uno strumento tecnologico, invece del vecchio e caro microfono dell’ambone, con le persone sedute ad ascoltare.

  1. Il senso religioso non può essere cancellato. Sia coloro che usualmente frequentano la messa, sia coloro che vivono senza una spiritualità “pratica”, quindi più o meno formati al cristianesimo, tutti (anche i predicatori!) abbiamo bisogno di riflettere e confrontarci con il sacro. E questo forse maggiormente adesso per qualcuno a cui sorge la domanda dov’è Dio in questa pandemia? Quindi sì, vale la pena proporre una “pastorale digitale” per incontrare e rispondere (con le nostre capacità) a questa e ad altre domande di senso per la nostra vita.
  2. Fissare un tempo e una quantità di contenuti ragionevoli, Seppur a casa, seppur svincolati dai tempi classici, ogni uomo e donna e famiglia cerca sempre di ricrearsi un orario di vita. Dunque per interagire con qualcuno, proponendo un contenuto serio come può essere quello della fede, conviene puntare sulla qualità e sulla creatività, piuttosto che sulla quantità, considerando che vi è un’ampia scelta di materiale “cattolico mediatico”, che ognuno riceve quotidianamente attraverso lo smartphone o semplicemente fruisce alla televisione. cc
  3. Confrontarsi onestamente e avere il coraggio di accettare la reazione dei destinatari. Questo è il passaggio che potremmo paragonare al guardare le facce delle persone in chiesa durante l’omelia. Abbiamo bisogno di un ritorno per quello che stiamo dicendo. Se pensiamo di fare tutto bene e che ogni cosa che proporremo sarà un successo, viaggiamo nel mondo delle idee. Ogni buona proposta ha bisogno di correzioni, perché in effetti nella evangelizzazione la destinazione si decide insieme (predicatore e fedele, o meglio in questo tempo blogger e lettore)
  4. Istruirsi riguardo ai mezzi. Sia i nativi digitali, sia i cross over (la mia generazione di quarantenne che ha visto il libro trasformarsi in ebook, la penna in mouse, il giornale in blog …) sia gli inesperti digitali, tutti abbiamo bisogno di prendere confidenza con il mezzo, fare le prove, andare a scuola. Sia per esprimere al meglio il nostro contenuto frutto della nostra meditazione e preghiera personale, sia per correggere il tiro secondo le reazioni dei nostri ascoltatori che ci avranno fatto la carità di dirci quello che non va.

5. non avere paura di osare. Questo punto è a parte e riguarda il futuro della nostra evangelizzazione. Ci sono terreni inesplorati che sono così difficili da raggiungere che pensiamo impossibili. Ma non per Dio come l’angelo giustamente ricorda anche a Maria.

Al proposito, e con questo concludo, tra tutto il mare di digitale che ho sperimentato in questi mesi mi rimane in mente l’impressione di novità e creatività che mi fece questo video.

Marco Staffolani

Parlare in questo modo di preghiera, con un misto di informalità e serietà giustamente dosate tra loro, che evita quel senso di prete moralista che sta sul pulpito e il fedele giù a ricevere senza possibilità di controbattere, mi ha fatto un gran bene. Mi ha fatto pensare che c’è tanto spazio inesplorato che dobbiamo ancora abitare.