300 anni accanto ai crocifissi dell’oggi

La comunità anima l’istituto riabilitativo Madre della Divina Provvidenza, recentemente colpito dal coronavirus.

La realtà di Agazzi è unica nel suo genere in tutta la Congregazione, incoraggiata dal Papa ad andare avanti a fianco dei «crocifissi di oggi»

Nel colle di Agazzi, alle porte di Arezzo, sono settimane importanti per la congregazione dei padri passionisti per i trecento anni dalla loro fondazione. Una ricorrenza celebrata anche dal Papa e che per la comunità che anima l’istituto riabilitativo Madre della Divina Provvidenza, ha un sapore speciale, nonostante le difficoltà dovute alla pandemia. Ne abbiamo parlato con padre Giovanni Battista Scarinci, superiore della comunità.

 

 

Quale significato date a questi trecento anni?

«Già il fatto che la Congregazione per tre secoli ha vissuto nella Chiesa con il suo carisma ha un significato grande. Ci siamo avvicinati a questo evento portando un’icona del fondatore, san Paolo della Croce, in tutti e 400 i nostri conventi del mondo. Ad Agazzi l’abbiamo avuta a cavallo tra luglio e agosto, abbiamo fatto una sua esposizione e celebrato una Messa solenne con i ragazzi disabili in giardino, per dare loro la possibilità di guardare questa icona e affidarsi a san Paolo della Croce. Il fondatore dei passionisti, al secolo Paolo Danei, nato nel 1694 a Ovada (Al), emise la propria professione religiosa il 22 novembre del 1720. Data in cui si ricorda la nascita della Congregazione».

 

Da cosa è caratterizzato il vostro carisma?

«I passionisti proclamano instancabilmente che la passione di Gesù Cristo è la più grande e stupenda opera del Divino amore ed è il rimedio più efficace per i mali del mondo. Questo carisma si sviluppa poi attraverso la missione.

L’impegno nostro è quello di mantenere viva nel popolo di Dio la memoria della passione e morte di Gesù – compresa naturalmente la sua resurrezione – specialmente annunciando il Vangelo attraverso le missioni popolari, esercizi spirituali e altre opere in parrocchie e santuari. Fino agli anni ‘80 sono state le missioni popolari quelle che ci hanno caratterizzato maggiormente. Oggi è un po’ più difficile. Prima di arrivare ad Arezzo ho fatto più di 150 missioni popolari in Italia. All’inizio e alla fine di molti paesi, si trovano ancora delle croci; normalmente venivano messe a conclusione delle missioni come ricordo. O sono nostre o dei cappuccini. La missione è un incontro con la parrocchia. Un tempo si andava in chiesa a sentire le “prediche” dei novissimi, dei sacramenti, ecc. .. più recentemente la missione era un approccio di una quindicina di giorni, con il popolo di Dio, che prevedeva incontri nelle case, o per le mamme, le coppie, i giovani, anche fuori dalla chiesa».

 

Quando arrivarono i passionisti ad Arezzo?

«Questo è poco risaputo. Arezzo sarebbe potuta essere uno dei primi conventi della Congregazione perché nel 1803, il vescovo Agostino Albergotti, dopo averla conosciuta, decise di portarla ad Arezzo. Ai passionisti venne affidata la parrocchia di San Bernardo che però dovettero lasciare già nel 1808 a causa delle soppressioni napoleoniche. Nel 1814 in tre o quattro riuscirono a tornare. Tuttavia, padre Tommaso dell’Incarnata Sapienza, che era stato nella comunità aretina, era nel frattempo diventato Generale della congregazione e decise di chiudere questo convento nel 1815, perché situato troppo nel centro città, mentre per il nostro carisma l’ideale è starsene in un luogo più isolato.

Nel 1948 la Provincia passionista decise di costituire un seminario per la Toscana, dove al tempo c’erano molte vocazioni e venne trovata la grande villa nei pressi di Agazzi di proprietà dei padri della Missione di Milano. Durante la guerra però se ne era “appropriato” il Partito comunista e in altri locali erano presenti molte famiglie sfollate. Ci vollero circa cinque anni perché i padri riuscissero ad averne pieno possesso. Vi entrarono nel ‘52. La struttura era messa molto male e vennero fatti importanti lavori di recupero e ampliamento per garantire spazi adeguati ai seminaristi che però dopo pochi anni iniziarono a decrescere. Il seminario fu operativo solo nel ‘59-60. A quel punto ci si ritrovò con una grandissima struttura, ma che fare? La provvidenza ha voluto che iniziassimo a prendere i ragazzi orfani dell’Enaoli (Ente nazionale orfani lavoratori italiani), poi ragazzi con varie problematiche, in un crescendo che ci portò nel 1983-85 ad accogliere, dopo la chiusura dei manicomi, persone disabili con problematiche mentali. Poi si è aggiunta la riabilitazione, così come all’epoca veniva richiesto dalla Usl, in più adesso interveniamo a sostegno dei bambini da 0 a 15 anni per capire se siamo di fronte a disabilità mentali o autismo. Un’ultimo aspetto è dedicato ai disturbi alimentari. All’interno dell’istituto abbiamo una piccola comunità di sei frati».

 

Questo tipo di impegno non è lontano dal vostro carisma?

«No. A tal proposito cito le parole del Papa che ci ha voluto affidare proprio in occasione di questo anniversario: “Non stancatevi di accentuare il vostro impegno in favore dei bisogni dell’umanità. Tale istanza missionaria sia rivolta soprattutto verso i crocifissi di questa nostra epoca: i poveri, i deboli, gli oppressi e gli scartati dalle molteplici forme di ingiustizia”. Il nostro operato è nel pieno del carisma passionista».

 

Com’è la situazione dovuta al Coronavirus all’istituto di Agazzi?

«Abbastanza buona. La nostra è una grande realtà: ogni giorno entrano 70-80 persone solo per lavorare e assistere circa 170 disabili, tra Istituto, due case famiglia e quindici appartamenti dove si vive in autonomia. A questi si sommano 32 posti letto di cure intermedie richieste dalla Asl, proprio per il Coronavirus. Abbiamo avuto la prima ondata in marzo con qualche caso nella riabilitazione e abbiamo chiuso un paio di settimane. Questa volta ci ha toccato proprio i disabili. Se un mese fa abbiamo avuto tanti contagiati, sia tra i ragazzi che tra i dipendenti, adesso il discorso si è rovesciato, la maggior parte dei tamponi sono negativi e piano piano stiamo riprendendo le cose con molta serenità. L’unico problema riguarda il personale, la Asl ne sta assumendo molto e la gente sceglie il pubblico. Quindi abbiamo un po’ di difficoltà. Abbiamo ancora alcuni casi di persone positive, tutte asintomatiche, ma pur essendo entrato il virus, siamo fiduciosi che la Madre della Divina Provvidenza, ci proteggerà».

articolo di Luca Primavera, dal Settimanale diocesano La Voce